domenica 5 novembre 2017

La Sicilia di Consolo



Dall’olivo  all’olivastro (seconda parte)

di Peppinp Bivona


                                                                   Le colonie greche, che si erano insediate nei luoghi dove oggi ci portano le amare constatazioni consoliane, avevano fornito «le loro credenze, i loro costumi e linguaggi . In conformità ad un progetto urbanistico, propugnato dalle esigenze identitarie della madrepatria e condiviso dai coloni, gli ecisti avevano geometrizzato lo spazio, proprio come Consolo ci ricorda: «Occuparono i fertili campi, ricchi di acque, seminarono il frumento, piantarono le viti, gli ulivi, costruì ciascuna famiglia la propria casa. Spazi centrali destinarono al culto, ad azioni e bisogni comuni, spazi per i templi e le piazze delle loro assemblee, cisterne per le loro granaglie, strade agevoli e sicure, luoghi dove interrare e venerare i morti (…). Costruirono con un'idea di uguaglianza e progresso, con una convinzione di tolleranza e rispetto di ogni diversità culturale, linguistica, la volontà di coesione, di sinecismo delle varie fratrie, delle varie stirpi» . Questo era secondo Consolo il passato, il basamento sul quale l'isola doveva costruire la propria identità e dal quale doveva mutuare gli insegnamenti per imprimere un tratto distintivo alla propria storia futura.
Le aspirazioni di uguaglianza e progresso, le esigenze di condivisione, tolleranza e rispetto delle diversità culturali, i bisogni di sinecismo non sono stati continuati ed incrementati, ma mortificati ed oltraggiati. Conseguentemente, per progresso si è inteso lo sviluppo edilizio ed il sovraffollamento sul territorio di «villette, condomìni, alberghi e trattorie» . Per esigenze di uguaglianza si è inteso l'affidamento, da leggere come cieca fiducia, alle tecniche della corruzione, dell'imbarbarimento, del saccheggio, delle speculazioni, della mafia.

In antitesi al rispetto delle diversità culturali si è insinuata e fissata l'attivazione di un dibattito finalizzato all'accrescimento di atteggiamenti e comportamenti. Tra gli olivastri siciliani, oltre a quelli già citati, Consolo annovera, attribuendogli una posizione privilegiata, anche Gela, «estremo disumano, (…) olivastro, (…) frutto amaro, (…) feto osceno del potere e del progresso , dove oggi, nei luoghi in cui prima nascevano i tesori dei coloni, i campi di frumento e i cavalli, e dove il poeta Eschilo passeggiava e traeva ispirazione, si è sviluppato «il teatro dell'abbaglio e dell'inganno, del petrolio favoloso, (…)qui il Gela1, Gela2, Gela3 (...) accesero Mattei di forza e di speranza, lo spinsero alla sfide dell'ENI statuale al duro capitalismo dei privati, al Gulf Italia Company, alla Montecatini, infusero (…) retorica industriale, (…) posero sopra le facce malariche dei contadini i bianchi caschi di plastica operaia. Da quei pozzi, da quelle ciminiere sopra templi e necropoli, da quei sottosuoli d'ammassi di madrepore e di ossa, di tufi scanalati, cocci dipinti, dall'acropoli sul colle difesa da muraglie, dalla spiaggia aperta a ogni sbarco, dal secco paese povero (…) partì lo sconvolgimento, partì l'inferno d'oggi.
Nacque la Gela repentina e nuova della separazione tra i tecnici, i geologi e i contabili giunti da Metanopoli, chiusi nei lindi recinti coloniali, palme, pitosfori e buganvillee dietro le reti, guardie armate ai cancelli, e gli indigeni dell'edilizia selvaggia e abusiva, delle case di mattoni e tondini lebbrosi in mezzo al fango e all'immondizia di quartieri incatastati, di strade innominate, la Gela del mare grasso d'oli, dai frangiflutti di cemento, dal porto di navi incagliate nei fondali, inclinate sopra un fianco, isole di ruggini, di plastiche e di ratti; nacque la Gela della perdita d'ogni memoria e senso, del gelo della mente e dell'afasìa, del linguaggio turpe della siringa e del coltello, della marmitta fragorosa e del tritolo»
Ciò che addolora il viandante consoliano è proprio la consapevolezza della natura di questo passaggio, di questo balzo che non ha voluto prevedere un inglobamento delle matrici culturali, nobili ed illustri, ma ha voluto assicurare il superamento nichilistico delle strutture fondanti dell'identità culturale. Come ha potuto Siracusa, ritornando ancora una volta a questa città, dimenticare di essere stata la scuola del passato, la trasposizione della cultura di Atene ed Argo, come ha potuto oscurare i propri interessi, che ruotavano attorno alla letteratura con poeti del calibro di Pindaro, Simonide, Bacchilide? Come ha potuto dimenticare il sincretismo religioso che aveva previsto la trasformazione della dea Atena in Santa Lucia? «Esce per la sua festa la vergine bianca, la Fòtina, la Lucifera, la Palladia, rigida nel suo corpo d’argento, alta sopra l’argento della cassa, esce nell’ellissi dello spazio, nello spazio dell’occhio smisurato, nel barocco anfiteatro dove s’erge la fronte della badìa nel nome suo edificata» . Perché ha mutato la vivacità culturale nell'immobilità della miseria e dell'abbandono? Perché ha sacrificato i templi coi suoi altari, il teatro, le strade dei sepolcri? Come ha potuto profanare con l'olio delle industrie delle attività petrolifere il mare che nel tempo mitologico fu solcato da Odisseo e nel tempo storico dai Corinzi? Quale insegnamento ha assorbito, a livello urbanistico, artistico ed estetico, per realizzare il santuario della Madonna delle Lacrime?
«In costruzione da trent’anni, la chiesa non è ancora ultimata; coi suoi settanta metri di altezza, piantato nel cuore di un parco archeologico, l’edificio, col grigio del suo cemento contro il cielo livido, faceva pensare a una rampa per il lancio di navi spaziali, ma la sua forma di cono scanalato, di campana assottigliata in alto, voleva simboleggiare, per gli architetti francesi che l’avevano ideato, la stilla lacrimosa che, dall’occhio sgorgando, nella caduta s’allarga, si fa goccia. A pianto di una Madonna di gesso colorato, alle lacrime di questa squallida immagine nella casa di un operaio comunista, a questo miracoloso evento accaduto nell’imminenza di una tornata elettorale degli anni Cinquanta, è legato il nuovo santuario» . Dove sono finiti il senso dell'armonia spaziale, della compostezza delle forme e il bisogno dell'adattamento alle peculiarità del territorio?» » .
Le domande di Consolo agli improduttivi e sterili olivastri proseguono, nonostante rendano inefficaci ed insensati finanche gli stessi interrogativi, toccando la Conca d'oro: chi ha voluto che il giardino delle arance divenisse un «sudario di cemento» ? Perché Palermo, luogo che, come suggerisce la sua etimologia, accoglie, ha deciso di accettare, conservare e proteggere univocamente la corruzione, prodotta dall'intrigo, dal ricatto? Cosa ha fatto confondere il senso del bene con quello del male? «Non volle entrare il viaggiatore, sostare nella Palermo che aveva amato, ora città della corruzione e del massacro. Non volle fermarsi in quel luogo dell'agguato, del crepitìo dei kalashnikov e del fragore del tritolo (...), delle strade di crateri e di sangue, dell'intrigo e del ricatto, delle massonerie e delle cosche, in quel luogo dell'Opus Dei, degli eterni Gesuiti del potere e dei politici di retorica e spettacolo (...). Via, via, lontano da quella città che ha disprezzato probità ed intelligenza, memoria, eredità di storia, arte, ha ucciso i deboli e i giusti”. 

Questo è l’amore smisurato di Consolo per la sua Sicilia Egli non pretendeva nei confronti del passato una devozione ed un'imitazione meccanica, incorrendo, così, nella pratica pericolosa della reificazione dei dati culturali, ma auspicava un'evoluzione storica responsabile, la quale, dopo aver letto e compreso i significati simbolici del passato, li utilizzasse per modificarli, per ricavarne i principi universali, di indiscussa validità, classici appunto del passato, li utilizzasse per modificarli, per ricavarne i principi universali, di indiscussa validità, classici appunto.

Nessun commento:

Posta un commento